martedì 3 novembre 2009

copie di copie di copie

Quando vidi il sole scendere, oltre la Città, dietro i grattacieli, capii che non sarebbe più sorto. Sentii l'odore della tenebra, intenso, freddo e scuro, arrivare strisciando e sbucare dagli angoli.
Lei mi chiese se stavo bene, cosa mi stava succedendo: come potevo raccontargli dei mille soli che avevo già visto, di tutte le volte che avevo visto calare le tenebre sapendo che la luce sarebbe riapparsa solo dopo lunghi anni e che nessuno, nemmeno Samrov, era in grado di impedire tutto ciò. Nemmeno Samrov il luminare, il padrone, il vero sindaco della Città. Chi sarebbe scomparso, questa volta, chi avrebbe sacrificato la propria vita affinché la scienza, e il suo carro di vincitori, potesse donare la semplice sopravvivenza agli abitanti della grottesca città-fungo? Queste erano le domande che mi distraevano da una normalissima passeggiata domenicale, e continuavo a ripetermi che avrei dovuto prevederlo, avrei dovuto saperlo, e che forse proprio Lei sarebbe stata strappata dalle mie braccia, se non l'avessi difesa. Le dico allora che è un banale mal di testa, non sembra crederci, ma continua a giocare con il cane spensierata, quasi felice. Mi appoggio al cartello “vietata la riproduzione agli Zatlah”, mi tolgo gli occhiali da sole, mi massaggio le tempie. Sorrido perché Lei è bellissima e nulla le accadrà, costi quel che costi.


-L'ho visto, per Dio, l'ho visto, non mi posso sbagliare.
-Era lui? Sei proprio sicura?
-Ti dico di sì, era lui – e qui la voce le si ruppe, e mi fu palese l'angoscia di chi ha visto qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere, ma che esiste, e non si può ignorare.
-Com'era? Identico?
-Era lui, era lui, usciva da una farmacia. Mi ha visto, ne sono sicura, non credo abbia fatto finta di niente, non mi conosce, non sa chi sono. Era torvo e guardingo, sembrava spaventato a morte. Indossava un'uniforme rosso sgargiante, simile a quella dei dipendenti dei fast-food.. Rossa con qualche striscia gialla, per l'esattezza.
Quella notte aveva fatto un sogno stranissimo. Si era ritrovato catapultato nella cucina di un fast-food, nell'ambiente in cui era una decina di persone cucinavano, occhi spenti e movimenti meccanici, poi aveva sbirciato nell'ambiente a fianco dove, in lunghe tavolate, altri lavoratori mangiavano in silenzio. Anzi, mangiavano ascoltando musica classica a bassissimo volume. Erano costretti, in qualche modo, ad ascoltare quella musica senza parlare fra di loro; il rumore delle mascelle che masticano il cibo l'avrebbe già resa impossibile da seguire. Aveva poi imboccato una porticina bianca e si era ritrovato in un'anticamera alta e strettissima, su cui si affacciavano altre porte; da una di esse era uscita una signora, la stessa divisa rossa da fast-food, e lui:
-Mi sono perso.
E lei, sorridente, gli aveva risposto qualcosa di incomprensibile. Sembrava simpatica. Era tornata dentro, chiudendosi la porta alle spalle, e lui aveva sentito, nettissime, queste parole:
-Dice di essersi perso – ed era sicuro che fosse stata la stessa persona, a pronunciarle.
Si era ritrovato, infine, in un bagno. La porta da cui era uscito era sulla parete sinistra. Quando capì dove fosse era già chiusa. Uscì e davanti a lui si trovò un corridoio illuminato, quello di un centro commerciale. Poi il sogno finì e lui si chiese per quale motivo se lo ricordasse così vividamente, contrariamente a quello che gli succedeva di solito.
-E' lui – dissi, cercando di non spaventarla più di quanto già non lo fosse – lo ha già messo in circolazione. Mi volsi pensieroso verso la finestra. L'autunno era appena arrivato e già l'inverno lo incalzava.
-Come fai ad esserne così sicuro? Potrei sbagliarmi e..
-Il sogno. Ho imparato a fidarmi più dei miei sogni che dei telegiornali.
-Cosa vuoi fare a questo punto? - la ragazza cercava di non far trapelare il timore che la tormentava. Era sconvolta. Era uscita per qualche piccolo acquisto, quella mattina di buon'ora, com'era solita, e se lo era trovato davanti. Subito aveva pensato ad una sorpresa, si era ricreduta quando, chiamandolo a gran voce, chiamandolo con il suo nome più volte, lui non si era voltato: solo ora capiva che non si era voltato perché non era lui, e quello non era il suo nome.

(continua...)

1 commento:

  1. monta oramai sei diventato la nostra susanna tamaro...una inesauribile fonte di creatività letteraria!!!!bravo cippi.......

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