
Vent'anni più tardi (la prima edizione è del 1876) uscirà il Diario di uno scrittore, raccolta di articoli pubblicati per la rivista il Cittadino, che vertono su temi di cultura e attualità di vario genere. Ai fini della riflessione, cito testualmente: "I giovani delle nostre classi intellettuali sono educati nelle loro famiglie, in cui… la vera cultura è sostituita da un'impudente negazione che riecheggia motivi altrui; dove gli impulsi materiali predominano su ogni idea elevata; dove i figli vengono educati senza basi all'infuori della verità naturale… ecco dov'è il principio del male: nella trasmissione delle idee..", per non parlare poi degli aspri giudizi sul lassismo giudiziario e sul cristianesimo gesuitico (cioè ipocrita) dei cattolici.
Dobbiamo forse accusarlo di un voltafaccia? No, la sua epoca, come la nostra, è satura di transizione e disgregazione, e ogni stato transitorio e disgregatorio della società genera pigrizia e apatia, perché soltanto pochissimi, in tali epoche, possono (o almeno provano a) vedere chiaramente davanti a sé e non perdere la strada. La maggioranza si confonde, perde il filo, scrive Dostoevskij. Cambiare continuamente opinione, essere in contrasto con se stessi sembra l'unica via percorribile per non ritrovarsi ad essere iscritti ad un corso di pilates o, peggio ancora, a frequentare un circolo della Sinistra Giovanile, o un Centro Sociale.
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