martedì 3 novembre 2009

Progressista VS. Conservatore: Casa dei morti e Diario di uno scrittore

Romanzo in parte autobiografico e in parte ispirato a situzioni che l'autore ebbe modo di osservare in prima persona, Memorie dalla casa dei morti venne scritto da Fedor Mikhailovic Dostoevskij al termine della pena da lui scontata in Siberia, dopo il 1859, e pubblicato fra il 1861 e il 1862. E' interessante il fatto che nelle Memorie, e soltanto in esse, Dostoevskij non interviene nella costruzione delle storie. Il libro è l’insieme di un embrione di racconti che restano senza seguito (solo il parricida alla fine del romanzo verrà scoperto innocente) e di fronte ai quali Dostoevskij si pone come uno del popolo, come uno, cioè, che ascolta e non giudica, che non cerca di capire il perché, e ha pietà di loro. L’arte dostoevskiana della casa di morti è proprio in questo, nel porsi in funzione di ascolto, di testimone, e mai di scrittore. Nelle Memorie dalla casa dei morti fanno quindi capolino i grandi valori della tolleranza religiosa, della libertà dalle prigionie materiali e morali, della indulgenza verso i malfattori, cioè verso coloro che, pur essendosi macchiati di crimini contro la legge, sono in definitiva solamente persone più sfortunate e più infelici, e quindi più amate da Dio, che vuole la salvezza del peccatore e non la sua condanna.
Vent'anni più tardi (la prima edizione è del 1876) uscirà il Diario di uno scrittore, raccolta di articoli pubblicati per la rivista il Cittadino, che vertono su temi di cultura e attualità di vario genere. Ai fini della riflessione, cito testualmente: "I giovani delle nostre classi intellettuali sono educati nelle loro famiglie, in cui… la vera cultura è sostituita da un'impudente negazione che riecheggia motivi altrui; dove gli impulsi materiali predominano su ogni idea elevata; dove i figli vengono educati senza basi all'infuori della verità naturale… ecco dov'è il principio del male: nella trasmissione delle idee..", per non parlare poi degli aspri giudizi sul lassismo giudiziario e sul cristianesimo gesuitico (cioè ipocrita) dei cattolici.
Dobbiamo forse accusarlo di un voltafaccia? No, la sua epoca, come la nostra, è satura di transizione e disgregazione, e ogni stato transitorio e disgregatorio della società genera pigrizia e apatia, perché soltanto pochissimi, in tali epoche, possono (o almeno provano a) vedere chiaramente davanti a sé e non perdere la strada. La maggioranza si confonde, perde il filo, scrive Dostoevskij. Cambiare continuamente opinione, essere in contrasto con se stessi sembra l'unica via percorribile per non ritrovarsi ad essere iscritti ad un corso di pilates o, peggio ancora, a frequentare un circolo della Sinistra Giovanile, o un Centro Sociale.

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